Entrò nello spogliatoio, si cambiò e poi iniziò a confezionare i pasti.
Doveva consegnare la cena ai pochi degenti di due piccoli nosocomi in collina, a pochi chilometri dalla sua città: il primo era una specie di lager per anziani gestito da una vecchia suora acida e repellente, l’altro un ex convento in cui a volte capitava di incontrare un’infermiera non più tanto giovane, ma con lo stesso fascino di Karyn Schubert. Dopo aver introdotto i cibi caldi confezionati dentro i termos, si diresse alla macchina furgonata della ditta: li caricò nel portabagagli, mise in moto, si accertò di non aver dimenticato il suo prezioso dessert e partì. Dopo circa tre quarti d’ora, intraprese la via del ritorno sulle strade tortuose e piene di curve a gomito. “Ci siamo, il ponte si avvicina”. Aprì lo sportellino posaoggetti: lei era dentro un cumulo di bicchieri di plastica, pronta da degustare.