L’odissea

 

Pioveva anche a Oslo. L’atmosfera era terribile, il circuito sembrava una pista ghiacciata da pattinaggio, ad ogni curva i ciclisti facevano fatica a mantenere l’equilibrio e rischiavano di cadere. Era ancora presto, anche se alle fasi cruciali non mancava poi così tanto. Appena ebbe finito di ingurgitare il suo pranzo, Pat uscì per continuare a vedere la corsa a casa di una amico, in un appartamento all’interno di un palazzo davanti alla stazione. Erano seduti su un comodo divano,
di fronte alla tv: di certo non si sa in cambio di cosa avrebbero voluto essere al posto di quegli individui ricurvi su di una bicicletta, intirizziti dal freddo. Si sapeva che Gianni Bugno odiava il cattivo tempo, non riusciva ad esprimersi in simili inferni: perciò si manteneva in coda al gruppo, la paura di rompersi l’osso del collo gli si leggeva ben stampata sul viso, pietrificato sotto i capelli fradici d’acqua: una smorfia di rabbia e fatica, la delusione di chi sa già come andrà a finire, un gigante divenuto gnomo che in quel momento rispondeva al solo desiderio che gli frullava nel cervello: quello di dire stop.