Il sig. Alzheimer
 

Spesso mi chiedo che aspetto avesse il signor Alzheimer, sarebbe facile togliermi il dubbio, basterebbe una piccola ricerca in rete, ma mi piace rimanere ancorato a questa domanda, in fondo è un rifugiarmi nell’immaginario, una fuga all’indietro da una realtà drammatica.

Ripeto questo nome, cento volte nella testa, come a voler esorcizzare quello che rappresenta, scorro l’immaginazione tra le sue sillabe, ne percorro il  suono metallico e un po’ arrotondato, con quella zeta centrale che evoca grigie corsie asburgiche di un qualche ospedale, sotto un cielo in bianco e nero.

E così mi immagino il professor Alzheimer, col suo camice bianco, che scruta gli occhi senza fondo e senza tempo di qualche anziano, affetto da quella disumana patologia, che avrebbero chiamato “Morbo di Alzheimer”.

Mio padre c’è immischiato fino al collo, se la porta addosso un po’ da tutte le parti, probabilmente non soffre, ma questo è un inganno.

La dignità umana è un concetto forse abusato, ma rende bene l’idea di quello che gli accade.