Nella disperazione non ci sono contorni, non c’è un inizio e non ci viene da considerarne una fine, ecco: quest’assenza di prospettive in avanti e indietro caratterizza il rapporto tra me e quel che resta di mio padre.
Ora lui mangia i tovaglioli, e ogni tanto gli viene da non respirare più, che diventa rosso paonazzo, altre volte gli sale la febbre a 41 e trema come un cucciolo esagerato, porta pannolini tanto grandi che dentro ci entrerebbero tre bambini.
La sua dignità umana è svanita come foglie nel vento di autunno poco ventoso, il suo agire si è progressivamente spogliato delle azioni, le sue parole hanno perso i significati, una gradualità diligentemente orientata ad un annientamento lento.
Lui esiste perché esistiamo noi, che gli stiamo intorno e che, con stizza e affetto, costruiamo ogni giorno la sua vita, gli facciamo fare i gesti e gli garantiamo i ritmi del giorno e della notte, della fame e della sete, stabiliamo quando è sazio e quando probabilmente è scomodo, siamo noi che lo teniamo pulito o sporco.