Guido piano nel buio della notte, sento le ruote rotolare sul selciato sconnesso, luci gialle e bianche e umide mi scorrono di fianco, le vedo sgattaiolare laterali e secondarie, è come se ora l’universo mi scorresse affianco dimenticandosi di me, tanto sono attutita, mimetica in questo momentaneo languore. Le mie azioni sono governate da automatismi diligenti, ripasso mentalmente la sequenza delle bugie da raccontare a casa, in realtà preferisco le omissioni, sono meno ingombranti e mi  vengono meglio.

Mi sento leggera, ma sospesa, come se qualcosa che doveva accadere non è accaduto, galleggio tra i ricordi recenti della serata e quelli più lontani di tutti i miei uomini,  faccio paragoni e confronti, azzardo contrasti, mi sforzo di individuare ipotetiche linee di congiunzione all’interno di tutte le mie storie, mi tornano in mente i volti e gli odori, di ognuno conservo in un punto remoto del mio ventre il profumo del suo seme, quello schizzo finale che sanciva il mio trionfo, il mio possesso vittorioso; che importa dove: tra le mani, nella mia bocca, sul mio seno, tra le mie gambe, l’importante per me è arrivarci, questa inevitabilità degli uomini mi affascina.