Fu vita.

 

Nodose dita, solite trascinare aratri,

unghie come d’antracite a far corollario

di mani callose e gialle.

Spalle ricurve sembrano unirsi,

fotografia di lustri

dove schiena lambiva l’odiata terra,

e ginocchio genuflesso

accarezzava l’amato germoglio.

 

In silenzio.

Dal chiarore di un’alba ancora da venire,

fino all’ultimo raggio a salutare l’orizzonte.

 

In silenzio.

Solo allora tornavi.

Solo allora posavi le tue ossa su duro legno,

a racimolare scarne briciole,

prima di cadere supino

fino al nuovo chiarore,

che bussando al tuo giaciglio,

spegneva soave sogno,

unico frammento di autentica felicità.