CARLA

 

La cicatrice è lì, all'inguine. Bianca, sottile, un piccolo solco sulla mia pelle candida. MEMENTO MORI.

Lo ricordo perfettamente, d'altronde sono una sopravvissuta, una miracolata, una che avrebbe dovuto già essere concime per piante.

Apro l'acqua della doccia. Il rumore dello scroscio poderoso mi svuota la testa. Comincia a formarsi il vapore, all'inizio appena un'acquerugiola che sale velocemente verso il soffitto, poi nebbia corposa e materica che avvolge tutto. Avvolge me, il mio corpo nudo, le mie paure, la cicatrice, il dolore, la convalescenza. Entro nel box e mi faccio abbracciare dalle mille dita dell'acqua calda. Sembrano mani esperte che sanno dove fermarsi per farmi stare bene, per far passare quel senso di oppressione al petto, quell'incudine di ferro che spinge sulle mie costole, sempre più forte, sempre più giù, fino a schiacciarmi e non farmi respirare. Mi insapono: estratto di aloe, pianta miracolosa quanto inodore.