Mi siedo sul letto. Sento una morsa allo stomaco: dei cani selvatici mi stanno sbranando le viscere, le lacerano, le tirano di qua e di là senza pietà. Dobbiamo squarciarlo, smembrarlo, farlo soffrire. Ci state riuscendo, cani maledetti!

Torno al lavoro. La signorina Rompietti mi saluta con un accenno di sorriso: “Bentornato, ingegnere. Di nuovo, sentite condoglianze”.

La guardo, socchiudendo gli occhi: non credo che al mondo esista una segretaria più brutta. Ma perché l’ho scelta? Ah, sì, è brava e preparata. Un’aziendalista che non rompe per gli straordinari e i festivi, che non si assenta mai, nemmeno quando sta male. Una sfigata!

L’ufficio mi accoglie col suo odore familiare di parquet lucidato e poltrone di pelle. Quindici anni fa non avrei mai immaginato di poter arrivare fin qui. Quindici anni fa ero un giovane laureato senza una lira ma con tanti sogni e molta determinazione. Questa si è acuita grazie a Emma, mia moglie. All’epoca si era appena laureata anche lei: voleva diventare qualcuno, fare strada. Mi ha sempre spinto a fare di più e meglio. Ce l’abbiamo fatta, tutti e due.