Venni operata il 13 febbraio, il giorno prima della festa degli innamorati. Ormai dell’amore non mi interessava più nulla. La sola presenza di Luca a volte mi risultava insopportabile, un intralcio, una distrazione da quello che ora era il mio scopo: sopravvivere. Entrai in sala operatoria e vidi il viso contratto di mia madre e di Luca. Quando uscii, avevo un dolore fisso all’inguine, come se qualcuno stesse usando sul mio corpo la fiamma ossidrica per aprirmi, squartarmi, dissolvermi. Cercai con la mano di toccarmi, ma mamma mi bloccò subito. “Tesoro, ha detto il dottore che se senti tanto dolore per stanotte ti danno qualcosa”. Qualcosa? Morfina? Valium per dormire? Paracetamolo? Cazzo, mi fa malissimo datemi quello che vi pare ma fatelo subito, il dolore mi sta consumando.

Passò così la prima notte in ospedale, poi la seconda e infine uscii. D’altronde l’operazione era stata una passeggiata per il chirurgo: aveva aperto, tolto tutti i linfonodi inguinali, destri, e chiuso con cinque punti. Ma allora tutto quel dolore da dove veniva?