Da dentro, dalla paura della biopsia, dal terrore di dover fare la stessa cosa dopo due mesi, dalla paura di morire. Io voglio vivere. Non voglio stare in ospedale, nessuno dovrebbe starci: c’è odore di disinfettante, penicillina e vomito ovunque, in reparto. Lamenti, singhiozzi soffocati, urla.

La convalescenza fu lunga, il mio corpo sembrava non reagire. A volte si infiammavano per qualche giorno altri linfonodi e io venivo risucchiata all’inferno, sprofondavo vicino a Bruto e a Cassio.

Le giornate passavano lente, in attesa della risposta della biopsia che arrivò dopo 20 giorni. Da Bologna, reparto di malattie rare e infettive. L’avevano mandato lì, il vetrino, con la speranza di capirci qualcosa, di capire perché il mio corpo all’improvviso era come impazzito e stava divorando se stesso.

La risposta diceva che si trattava di una forma rara di tubercolosi.

Forma rara di tubercolosi? Ho fatto decine di lastre, tyn test, analisi. Come può essere? Non ha senso.