Mattia Favaro nasce a Vallà (TV) il 04/02/1994. Fin dalle scuole elementari mostra interesse per le lingue e la letteratura. A tredici anni contrae una grave malattia infiammatoria cronica all'intestino.
Adesso lavora alla Novation Tech e spera di riuscire a pubblicare una raccolta di poesie il prima possibile.
Il mio volere non rammenta l’esistenza dei ricordi di una vita nel vuoto dell’abisso di questo universo. Quattro mura luminose ci proteggono dal buio che noi soli conosciamo, dietro questa porta, sopra questo letto due spiriti si scrutano cercando l’un l’altro un pezzo di sè stessi. Luminosa e poco chiara la via e lui è là con loro, la musica intreccia gli animi, la poesia tesse la vita e il reticolo che ne risulta è un altro. Persi in un’immensa autostrada, rete di desideri che stordisce e confonde come il traffico nell’ora di punta, in attesa di un passaggio, o forse del momento giusto per accendere il motore e per volare là, su nuvole d’asfalto, nel luogo che nessuno conosce e dove tutti sognano d’arrivare. E i brividi assediano l’io che striscia a piedi nudi su quel divino poligono di tiro che solo voi mi fate amare in questo modo; oh Genio! Ti rapirò prima della fine, mi realizzerai. Essere, solo per questa sensazione ne vale la pena, per sentirmi scorrere come fluido denso nell’inchiostro della penna e tra le note del sax.
Tutto questo è lasciare andare la tensione di questa vita e le sue pene, come quando si liberano i polmoni dopo aver trattenuto il respiro per tanto, troppo tempo, il quale continua a mangiare inesorabile tutto ciò che esiste e ciò che non esiste e mai troverà forma, solo perchè non mi è dato a sapere. Moloch non sapeva, Ginsberg non sapeva eppure ha distrutto il muro temporale dell’esistenza che ci divora ogni giorno di più senza che ci rendiamo esattamente conto di cosa voglia dire, ma, purtroppo o per fortuna, ne abbiamo la consapevolezza. Divorati dal cratere nel mondo, caduti per centinaia di chilometri ci risvegliamo dall’incubo che c’ha marchiato a fuoco; seduti alla stazione presso il binario “x”, in attesa del treno giusto, sappiamo che arriverà, ci passerà davanti ad una velocità di almeno centottanta chilometri orari, e allora sentiremo il capostazione: ”Salti in corsa chi ha il coraggio, o chi ha visto i proprio sogni, - tutti tranne uno, quello giusto -, spaccarsi come bicchieri di cristallo ai piedi di quella bambina capricciosa e malinconica che siamo soliti amare”. E come dargli torto, in fin dei conti sarebbe magnifico saltare nel vuoto di un treno che viaggia a 180 km/h, ma l’angoscia e l’insicurezza ritornano sempre, anche dopo il paradiso.
Grigi sapori nell’aria,
scoppietta il falò della pioggia,
calda nebbia avvolge il Suo manto,
è questa l’ora del tormento.
Il vento dell’emozione non mi appartiene
se lui non soffia, non lo posso catturare
rimango indifferente alle catene.
Il dubbio nel rimanere mi spinge a scappare
l’oscurità nelle mie nebbie sta evaporando,
il gioco mi sta abbandonando.
La mia fenice si sta accendendo
L’antico pianto sta fuggendo,
sto chiuso in gabbia camminando
sui miei pensieri, calpestando
le seducenti miserie.
Ricevo disinteressati sorrisi,
squallidi complimenti,
probabilmente sono veritieri
ma non li merito .
Mi basterebbe solo una misera
piccolissima seconda occasione
per oggi, solo per oggi.
Stranamente il tempo è sereno,
nonostante tutto il mio midollo
continui inesorabilmente a morire
giorno per giorno, oggi per oggi.
Della solitudine non sono degno,
la compagnia mi disturba
Carte, Angeli,
tutto da buttare.
Schiavo di me stesso
iperterrito atterrito non mi so
rialzare
da solo.
Vivrò sperando nella Luna
per oggi, solo per oggi
vorrei le tue braccia
al mio collo
per stracciarmi
per amarmi
una bolla per noi
per oggi...
solo per oggi...