è nata e vive a Villanova del Battista, in provincia di Avellino. Laureata in Lettere, insegna nella scuola secondaria, presso il carcere di Ariano Irpino. Scrive testi di tipo letterario e saggistico, compiendo ricerche sull’ambiente, la storia, il folclore e il dialetto irpino.
Ebbra la luna ballava
su antiche melodie rom
mentre capelli corvini
fluttuavano in danze
allacciate.
Aromi di carne infuocata
invitavano languidi cani,
mansueti cavalli pezzati
ondeggiavano
paghi.
Note di fisarmonica
attorno al falò
spronavano gli occhi
a rincorrere
ritmi.
Lunghe gonne
e nastri cremisi
accendevano
volti
contratti.
Sorrisi di donne
su sguardi spiati,
pensieri di anziani
or rinnovati.
E la notte viola avanzava:
il cielo del campo zingaro
poteva giocare coi sogni infantili
mentre le ombre dei grandi
lasciavano impronte
indelebili.
Ghiaccia scolorita
sberle pugni fumo spento
sì ti amo non è vero
lo perdono è colpa mia
scusa scusa no mai più
ma che male un’altra volta
basta basta
sguardo arcigno dilaniante
spiaccicata contro il muro
gusto acido di sangue
boccheggiante deformato
interrompi disinnesca
è letargo dell’amore
è dileggio inebetito
fuori albeggia quasi piove
…
Miserrime nefandezze umane
indistinte nel solfeggio del cosmo
come pietrisco fluttuano
poi deflagrano.
L’ombra che sa reagire
che ridiventa donna
sia certezza
urlo
speranza.
Ha una maglietta rossa e una busta in mano
l’uomo smarrito tra le due guardie
che s’appresta al cancello mentre s’apre
spaesato di fronte a moglie e figli
non si butta al collo dei suoi affetti
non capisce affatto ch’è ormai fuori
e solo dopo, lunghi e lunghi abbracci.
Mi passano davanti
gli occhi s’incrociano
lo spazio d’un momento
auguri sussurrati
lui sa che io in quell’attimo
capisco il suo dolore
mentre moglie e figli
sanno il loro dolore
io certo acchiappo il suo
ciò che da lì trasuda
quanta follia sta dentro
a quella scelta insana
di chiudere altri uomini
pensando di difendersi;
malvagi impenitenti
a volte pure vittime
ma tutti bisognosi
d’una coscienza nuova
non d’essere ammassati
in un porcile lurido
perché i giusti acclamati
si riempiono la bocca
d’inutili parole
quando una finzione
detta rieducazione
dà loro l’illusione
d’aver reso giustizia.
Nel carcere c’è il vuoto
che spesso mangia rabbia
a volte dà perdono,
chi è dentro è rieducato
a un male ripetuto
all’odio più assoluto
a un futuro annebbiato.